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Ottavio Fatica sull’arte di tradurre

9 febbraio 2023 | cristina
Ottavio Fatica sull’arte di tradurre

A #PDESocialClub ci perdiamo nel mondo della traduzione con Ottavio Fatica, traduttore di Tolkien e Kipling. 

Con il prossimo appuntamento #PDESocialClub ci porta in un posto particolare, un po’ officina e un po’ antro del mago, un po’ biblioteca e un po’ torre, entrambe di Babele. Stiamo parlando di un luogo dallo statuto imprecisato: può essere uno studio foderato di boiseries, un anonimo ufficio, il tavolino di un caffè, coperto di calici e tazzine, o la tovaglia plastificata di un tavolo di cucina, la panchina di un parco cittadino o, per quel che ne sappiamo, il pozzetto di uno sloop. Fondamentalmente coincide con la mente, gli scaffali della libreria e lo hard disk del computer di una persona che maneggia storie, idee, parole di altri e le trasporta da una lingua all’altra. Insomma, stiamo parlando della mente, della libreria e del computer di un traduttore.

L’occasione, giovedì 16 febbraio alle 18.00, ce la offre l’uscita di Lost in Translation, smilza ma densissima riflessione sul lavoro del tradurre firmata per Adelphi da Ottavio Fatica. Ovviamente sugli schermi di #PDESocialClub, sulle pagine Facebook, Instagram, Linkedin e YouTube di PDE, di Adelphi e delle tante librerie che decideranno di condividere la nostra conversazione.

Ottavio Fatica traduce dall’inglese e dal francese, oltre a essere ottimo poeta in proprio. Il suo nome e la sua sapienza ci hanno offerto l’accesso a nuove traduzioni di Moby-Dick, de I libri della giungla (di Kipling ha in realtà curato l’intera opera tra Theoria, Einaudi e Adelphi), de Il signore degli Anelli, e a opere mai prima tradotte in italiano di autori come Elizabeth Bishop e Joseph Conrad, Wystan Hugh Auden e Evelyn Waugh (tutto in famiglia!), William Butler Yeats e Flannery O’Connor, Benjamin Peret e Léon Bloy. Antico traduttore de Il dottor Semmelweis, Céline è di recente rientrato nella sua vita dopo che Adelphi gli ha affidato la traduzione dell’inedito ritrovato Guerre. Ma la lista dei titoli e degli autori tradotti è davvero inesauribile e compone un percorso nella letteratura soprattutto novecentesca di straordinario fascino.

Ventesima uscita negli adelphiani “Microgrammi”, Lost in Translation è tanto smilzo di pagine e battute quanto denso di pensiero ed esperienze. Raccoglie il testo di cinque brevi riflessioni sulla traduzione, “scorribande” le definisce l’autore, che la Radio Svizzera ha chiesto a Fatica nell’estate del 2022.

Nel primo dei rapidi saggi, “La giustizia della giungla”, a campeggiare è la figura di Mowgli, presto raggiunto dall’altra gigantesca creatura kipliniana, l’immortale sciuscià angloindiano di Kim. Entrambi sono figure ambigue, abitano territori di frontiera, a metà tra regno animale e consesso umano l’uno, tra Asia e Europa su quella frontiera da millenni tormentata che fu il teatro del Grande Gioco l’altro, bambini entrambi chiamati a ruoli che nessun adulto avrebbe la forza e l’incoscienza di incarnare. Entrambi, di fatto, traduttori e metafore della traduzione.

A dispetto del titolo dal sapore dadaistico, “Lo sherpa e la parrucchiera delle dive” ci porta nel gran laboratorio della traduzione de Il signore degli Anelli, dove è la figura di Sam che si carica Frodo sulle spalle e lo porta così, con fatica e abnegazione, a destino, a tratteggiare «come meglio non si può, l’inedito ritratto del traduttore come sherpa». E poi, di capitoletto in capitoletto, Fatica ci introduce all’impresa paradossale del tradurre poesia (i nomi di Cocteau e Rilke, Valéry, Auden e Yeats, chiamati a testimone, possono bastare?); ci presenta un sintetico ritratto, molto ukiyo-e, di Lafcadio Hearn, l’irlandese che, traduttore ritradotto, ha restituito ai giapponesi il loro patrimonio letterario; ci regala una “Favola” che mette in scena la discesa dall’Arca dei superstiti al diluvio, la loro scoperta che la lingua edenica a tutti comune non è più tale, la nascita dell’incomprensione, delle identità, della separazione, della violenza, della salvifica pratica della traduzione. Perché finché c’è vita ci sarà sempre qualcosa da tradurre, o meglio «finché c’è qualcosa da tradurre c’è la vita».

Lost in Translation si chiude con un inedito, scritto durante la traduzione di Guerre, “In tassì con Caronte” che mentre ripercorre la lunga consuetudine di lettore celiniano – dalla scoperta adolescenziale del Voyage alla conferma di Rigodon fino all’approdo alla traduzione di Semmelweis e ora di Guerre – ritorna al primo contatto, parliamo del 1975, con la casa editrice Adelphi e con Roberto Calasso, che di Adelphi è stato il grande costruttore e timoniere.

Letto il libro, qualcosa ci dice che la conversazione con Ottavio Fatica di giovedì 16 febbraio si rivelerà altrettanto densa e imperdibile per chiunque ami la letteratura, legga convinto che la prima peripezia che deve affrontare uno scrittore è quella della scrittura, sia curioso di scoprire chi sta prima e dietro le pagine che sta leggendo. L’appuntamento è quindi alle 18.00 sulle pagine Facebook di PDE, di Adelphi delle tante librerie che aderiscono a #PDESocialClub. L’incontro sarà visibile anche dalla homepage del nostro sito, sul nostro canale YouTube e sulla pagina LinkedIn. Non mancate!

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Foto in alto di gyasemin