Indietro

Giovanni Verga, cent’anni dopo

27 gennaio 2022 | cristina
Giovanni Verga, cent’anni dopo

Nell’anno del centenario della morte, ecco una monografia su Verga che ci invita a rileggere l’opera del grande scrittore verista

Il 27 gennaio 1922, moriva Giovanni Verga a Catania, dove era nato il 2 settembre 1840. Il caposcuola del verismo fu sepolto nel “viale degli uomini illustri” del cimitero monumentale, luogo dell’ultimo riposo delle personalità che hanno fatto la storia della città, in una tomba spoglia per suo volere.

Vissuto a cavallo tra due secoli, Verga è dunque stato testimone della storia d’Italia dalla spedizione dei Mille fino alla Grande Guerra, anni di trasformazioni sociali ed economiche, soprattutto per l’Italia del Sud. Si può dire che abbia attraversato quasi ogni momento della tradizione letteraria ottocentesca: dal romanticismo al decadentismo, dallo psicologismo al verismo, che ha segnato una svolta nella sua consapevolezza estetica a partire dal 1874, anno di pubblicazione della novella Nedda.

Proprio al verismo ha legato la sua fortuna: da questa esperienza sono nate le sue opere più caratterizzanti, nonché due dei romanzi più importanti della letteratura italiana: I Malavoglia (1881) e Mastro-don Gesualdo (1889). Non vi stiamo dicendo nulla di nuovo, lo sappiamo, queste cose le abbiamo studiate a scuola. Ma appunto, cosa rappresenta oggi Verga, al di là del suo ruolo nei programmi scolastici?

Un profilo inaspettato

Cento anni, d’altronde, sono tanti. O, almeno, lo sembrano. Come è cambiata l’immagine di Verga, dopo un secolo? Cosa si può ancora dire di questo autore che non sia stato detto?

Sono queste le domande che si fa Gabriella Alfieri, docente di Storia della lingua italiana e Linguistica e didattica dei testi nell’Università di Catania, autrice di Verga, monografia edita da Salerno Editrice che adotta un punto di vista inedito, per ridefinire la figura del letterato, non filtrata esclusivamente attraverso il verismo.

La prof.ssa Alfieri, che presiede il Comitato per l’Edizione Nazionale delle Opere di Giovanni Verga, parte dalla lingua e lo stile. «Verga si fa traduttore e interprete del sentire dei suoi personaggi ora con il mirabile italiano regionalizzato dei capolavori, ora coll’italiano chiaroscurale dei testi intimisti.

Solo a partire da quest’ambito si può rompere ogni immagine stereotipata, affidata a una tradizione scolastica ingessata, e tentare di restituire la figura dello scrittore nella sua interezza umana e professionale», scrive nell’introduzione del saggio.

Una lettura integrata delle opere

Verga inizia con un capitolo che fornisce il quadro storico, sociale ed economico della “nuova Italia” dopo l’unità territoriale, che univa aree con esigenze differenti sotto un unico sistema amministrativo. Questa situazione non solo fa da sfondo alla vicenda umana di Giovanni Verga, ma riveste un’enorme importanza nello sviluppo della sua poetica. Da qui, Alfieri comincia a raccontarci la vita, tracciando percorsi attraverso le sue opere e delineando la figura di un grande letterato, ma anche quella di un romanziere professionista che ha avuto la capacità di adeguarsi al mercato editoriale.

Lingua e stile, dicevamo. Nell’esperienza verghiana riecheggia la riflessione sull’italiano letterario come strumento per costruire l’identità nazionale. Nella lettura integrata di opere molto diverse tra loro, emerge sempre una certa coerenza e la profondità dell’autore. Verga sceglie, infatti, di presentare gli universi sociali di cui scrive con forme sempre adattate al soggetto, utilizzando un italiano regionalizzato, dalla sintassi mimetica, tipico dell’oralità reale, ma nei testi intimisti opta per una una lingua più neutra. Una «scrittura bifronte», come la definisce Alfieri, frutto dello sforzo dello scrittore nell’accostarsi a una pluralità di realtà e restituire una fotografia del paese in quel preciso momento storico.

Il libro è organizzato per capitoli modulari, ma può essere utilizzato per tracciare itinerari diversi, a seconda delle preferenze di chi cerca nuovi itinerari nell’opera di Giovanni Verga. Cosa possibile, come lo è sempre con la grande letteratura, anche dopo cento anni.