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Vent’anni di BeccoGiallo: il fumetto come strumento per raccontare la realtà

11 Giugno 2025
Vent’anni di BeccoGiallo: il fumetto come strumento per raccontare la realtà

Intervista a Federico Zaghis, cofondatore e direttore editoriale di BeccoGiallo.

Di Cristina Resa

C’è chi pensa al fumetto solo come intrattenimento e poi c’è BeccoGiallo, una casa editrice che da vent’anni usa questo linguaggio dalle incredibili potenzialità per fare divulgazione. Nata nel 2005 in provincia di Treviso e oggi attiva a Padova, BeccoGiallo ha scelto fin dal principio una strada diversa: raccontare storie vere, di memoria storia e impegno civile e sociale, con il linguaggio immediato e potente della graphic novel. Il nome stesso è una dichiarazione d’intenti: omaggia Il Becco Giallo, foglio satirico antifascista degli anni Venti che usava il disegno e l’inchiesta giornalistica come strumenti di denuncia.

Un’eredità raccolta e rilanciata in forma contemporanea, con un catalogo che spazia dal graphic journalism alle biografie, fino ai fumetti per l’infanzia. Nel 2007 ha ricevuto il premio come Migliore Iniziativa Editoriale al Lucca Comics & Games, e oggi, parte del gruppo indipendente Fandango, festeggia i suoi 20 anni continuando a esplorare nuovi modi di raccontare il presente e la memoria.

Parliamo di tutto questo con Federico Zaghis, socio fondatore e direttore editoriale di BeccoGiallo.

Federico Zaghis

BeccoGiallo ha scommesso sul graphic journalism quando in Italia era ancora poco conosciuto. Come è nata questa scelta e qual è il valore del fumetto nel raccontare la realtà?

Anzitutto, grazie per aver ricordato che quest’anno BeccoGiallo compie vent’anni. Il nome della casa editrice è un omaggio duplice: da un lato alla storica rivista satirica che denunciava l’espansione del regime fascista; dall’altro, a un luogo fondamentale della mia formazione, la libreria di mio padre, che tra qualche anno spegnerà cinquanta candeline. Quindi diciamo che i nostri vent’anni li relativizzo pensando ai cinquanta dalla libreria di mio padre, dove peraltro è nato tutto. Io e Guido (Ostanel, ndr), mio socio e compagno di liceo, trascorrevamo ore tra gli scaffali, fantasticando su un possibile futuro nel mondo editoriale.

Condividevamo due passioni: il fumetto e la trasmissione Blu Notte di Carlo Lucarelli, che raccontava la cronaca nera italiana e i cosiddetti “misteri d’Italia”. li ricostruiva passo passo in modo estremamente efficace e divulgativo. E intratteneva, intratteneva tantissimo. Allora, ci siamo chiesti se il fumetto potesse avere lo stesso potenziale narrativo su carta. Così abbiamo cominciato a pensarci, a rimuginare, a capire quali sarebbero stati i primi argomenti da trattare. Abbiamo poi incontrato una serie di figure professionali del settore per chiedere consiglio o per proporre proprio il nostro modello. Pian piano abbiamo messo in piedi questo progetto. Tu mi chiedi il perché del linguaggio del fumetto: pensavamo e pensiamo tutt’oggi che sia uno strumento potente per dare dei messaggi e delle informazioni, ma allo stesso tempo anche intrattenere, perché c’è questo mix, questa unione di parola e disegno.

Nei vostri libri affrontate storie complesse e spesso dolorose. Quali sono le principali difficoltà nel trasformare questi temi in fumetti?

Dal punto di vista di editore, la difficoltà principale è scegliere le persone giuste per il determinato soggetto che ho in testa di produrre. Innanzitutto devono, in qualche modo, “sposare la causa”, che significa conoscere la materia, ma anche sapere qual è la responsabilità che comporta trattare determinati argomenti. Quando affrontiamo figure come Peppino Impastato, per esempio, è fondamentale che chi lavora al progetto non solo conosca la vicenda, ma anche il territorio. Un’altra sfida è lavorare su testimonianze dirette: un’interazione intensa e delicata con le persone protagoniste di queste vicende, che arricchisce, ma richiede grande rispetto e un dialogo costante.

Guardando indietro, qual è stata la sfida più grande e cosa è cambiato nel mondo del fumetto e del graphic journalism in questi due decenni?

Quando è nata BeccoGiallo, in molte librerie non c’era nemmeno un reparto dedicato ai fumetti. Oggi esistono sezioni intere per manga e graphic novel. Dunque, abbiamo fatto molti passi avanti dal punto di vista dello spazio occupato in libreria, ma credo anche dal punto di vista della maturità del pubblico: oggi, anche grazie all’offerta e all’esperienza, chi legge fumetti è esigente e “richiedente”.

A questo proposito, BeccoGiallo ha anche una produzione dedicata a un pubblico più giovane. Quali sono i progetti più importanti in questo ambito e cambia il modo di raccontare per parlare alle nuove generazioni?

A un certo punto ci siamo accorti che, parlando di tematiche di cronaca e temi sociali, attorno a noi si era costruito un pubblico che in questi vent’anni ha messo su famiglia e ha iniziato a chiederci se esistesse qualcosa di simile anche per le nuove generazioni. Cosa potevamo fare? La prima cosa è stata attivare una collana di illustrazione per l’infanzia, dedicata espressamente a questi temi. Abbiamo pubblicato La mafia spiegata ai bambini e abbiamo affrontato altri temi importanti come sessualità, razzismo, bullismo. Solo negli ultimi tre anni abbiamo iniziato a proporre anche veri e propri fumetti. Abbiamo pensato che l’approccio dovesse essere graduale: il fumetto per l’infanzia deve ancora conquistarsi spazio in libreria. Quindi, un po’ come apripista, abbiamo utilizzato l’illustrazione, che aveva già un ruolo consolidato in quel settore.

BeccoGiallo oggi fa parte del gruppo Fandango. Cosa significa far parte di una realtà più grande? Quali opportunità e sfide comporta?

L’ingresso in Fandango è stato graduale: non è stata una cosa improvvisa, ma assolutamente costruita nel tempo. Far parte di un gruppo significa, scusami il pragmatismo, poter sfruttare alcune economie di scala. Quindi da questo punto di vista è facile risponderti. Far parte di un gruppo in cui ci sono delle case editrici – in particolare Fandango Libri – che affronta spesso le stesse tematiche che affrontiamo noi, ma in forma diversa, è un valore aggiunto, perché possiamo avere lo stesso pubblico di riferimento e possiamo spalleggiarci. E a volte, in realtà, nascono anche dei libri che sono sinergie tra uno scritto e uno a fumetti, proprio perché la sensibilità di fondo è la stessa. In alcuni casi, questi progetti vivono anche una terza vita nel cinema, grazie al ramo audiovisivo di Fandango. Anche in quel caso è una sinergia che funziona e che ci dà molto.

Quali sono i progetti e i titoli su cui puntate di più quest’anno, che tra l’altro è l’anno che segna l’inizio della collaborazione con PDE per la promozione editoriale?

Stiamo lavorando a una serie di mostre itineranti che racconteranno non tanto la nostra storia, ma la storia d’Italia che abbiamo narrato in questi vent’anni: cronaca, memoria, cultura civile. Le poteremo in giro per librerie, festival, associazioni. Sul fronte editoriale, continueremo ad ampliare il nostro catalogo con biografie, fumetti di cronaca e anche progetti più sperimentali. È uscito, per esempio, Ave Maria piena di rabbia, libro di Gloria Riggio, vincitrice dello Slam Poetry Italia, che affronta tematiche impegnate attraverso il linguaggio della poesia contemporanea. È esattamente ciò che abbiamo fatto finora, ma cambiando linguaggio. Questa idea ci piace molto perché, in fondo, la poesia è po’ bistrattata, come lo era il fumetto vent’anni fa. Continueremo poi a dedicare una serie di pubblicazioni alla tematica della sessualità, per esempio con un libro dal titolo Oggi mi sento una favola!, scritto da Chiara Gregori, ginecologa e sessuologa, che racconta quanto incide il ciclo ormonale femminile sulla vita quotidiana e vuole dare visibilità a questa dimensione. E naturalmente continueremo a raccontare ciò che ci circonda in forma di fumetto.

Potete ascoltare la nostra intervista in formato audio nella ventinovesima puntata del nostro podcast INDIE-Libri per lettori indipendenti.