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Cos’è successo in questo mese nell’editoria

15 aprile 2020 | cristina
Cos’è successo in questo mese nell’editoria

«Abbiamo lavorato tanto, tutti, di più, in nuovi modi»: Giulia Passarini, che in PDE si occupa di Servizi promozionali e Marketing editori, riflette sul mese appena trascorso 

Pubblichiamo un’appassionata e personale riflessione di Giulia Passarini, che in PDE segue i rapporti con alcuni editori per quel che riguarda i servizi promozionali e la consulenza marketing, scritta il 12 aprile scorso, a un mese esatto dall’inizio dell’isolamento sociale imposto per arginare l’emergenza da Covid-19.

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Oggi è il 12 aprile ed è un mese esatto che le librerie sono chiuse.

Un mese esatto, che per i danni economici, il senso di incertezza, l’andare avanti a tentoni inseguendo ogni giorno i cambiamenti, senza coscienza del tempo, senza sapere, senza orizzonte, forse ci sembrano sei.

Un mese o sei, dunque, in cui la cosa che mi sono ripetuta più spesso è stata “è tutto fermo”.

Ogni giorno, tutti i giorni.

Ho lavorato tantissimo, eppure me lo sono ripetuta di continuo; e forse proprio per questo ho lavorato di più: per ostinazione a sperare il contrario.

È vero, è stato tutto fermo, o meglio: tutto quel che c’era si è improvvisamente fermato: le persone, le attività, i movimenti, le vendite, i guadagni. È – e sarà ancora – una situazione difficile di stallo e di crisi economica che ci spaventano, perché la sostenibilità di un sistema già così fragile in partenza è qualcosa su cui non possiamo smettere di interrogarci ogni momento, con preoccupazione e con paura. Le cose crollano, più del solito, da un mese o sei.

Cos’è successo nell’editoria in questo mese?

Quando mi sono fatta questa domanda stamattina, a un mese di distanza, un mese di giorni tutti uguali in cui mi ripetevo le stesse frasi, a un certo punto mi si è riempita la testa di cose.

Cos’è successo nell’editoria in questo mese in cui è tutto fermo?

Siamo passati dai cappotti alle maniche corte.

E sì, sono anche successe un sacco di cose.

Sono usciti libri, innanzitutto.

Il 12 marzo è stato il primo giorno di chiusura totale ed è coinciso ad esempio con l’ultimo lancio di Messaggerie. C’erano libri a cui tengo molto: Ben Lerner, Ocean Vuong, Jenny Offill, Manganelli, Nick Hunt, la riedizione de La donna mancina di Handke, i Sillabari di Parise letti da Nanni Moretti. E ce n’erano molti altri ancora: libri che sono rimasti intrappolati, consegnati in libreria, pronti per il giorno in cui nessuno ha più potuto uscire a comprarli.

Ci sono stati editori e librai, alcuni dapprima, in seguito moltissimi, che con una velocità, un’inventiva, un coraggio che non dimenticheremo, hanno capito che in una situazione di tale isolamento, il filo dei rapporti con i lettori poteva essere tenuto in vita – doveva essere tenuto in vita – in altri modi.

L’ebook ci è diventato d’un tratto prezioso alleato, e quasi tutti gli editori si sono lanciati con entusiasmo nella solidarietà digitale, permettendo ai lettori di scaricare gratuitamente libri e non restare soli in giorni così difficili.

Le librerie si sono attrezzate con altrettanto entusiasmo e ancor maggiore intraprendenza per consegnare a domicilio. Gli stessi editori, gli stessi distributori, gli stessi promotori: tutti gli attori della filiera, a diverso titolo e contributo, hanno partecipato alla creazione di questa nuova possibilità per finanziarla, per censirla, per renderla accessibile a quante più librerie e lettori possibile.

Corriere, taxi, bicicletta, spedizione direttamente dai magazzini del distributore a casa dei clienti: sono state utilizzate quasi tutte le opzioni, forse son mancati solo i droni. Le finanze, in questo momento, sono un tema sensibile per tutti, e la condizione psicologica di isolamento ci rende fragili. I libri sono buoni compagni; avremmo potuto sentirne la mancanza. Così non è stato, per quanto ci sia stato possibile.

In questo mese abbiamo scoperto che il digitale e l’online non ci allontanano, dunque, anzi si fanno veicolo di possibilità. Chissà che non sapremo sfruttarli ancora di più e integrarli anche in contesti meno eccezionali di questo.

Hanno continuato ad uscire libri. Sì, hanno continuato, in formato digitale: a dispetto del mio mantra mattutino “è tutto fermo”, sono usciti l’autobiografia di Woody Allen, i gialli di Scerbanenco con protagonista Arthur Jelling, il libro di Barry Hines mai tradotto in Italia che ha ispirato uno dei film più belli di Ken Loach, Kes; sono state ideate e sono uscite nuove collane per Adelphi, per La Nave di Teseo; è uscito per NN un racconto inedito di Roberto Camurri il cui ricavato è interamente devoluto alla Croce Rossa Italiana. Alcuni sono usciti sia in digitale che in cartaceo, con distribuzione nelle edicole, come il libro di Paolo Giordano per Einaudi. Sono solo alcuni esempi; abbastanza, però, da mostrarci che qualcosa eppur si muove.

Lavoro nella promozione editoriale: con i miei colleghi e con gli agenti abbiamo ragionato ogni giorno sul momento presente e sulla ripartenza. Lo abbiamo fatto risoluti nonostante spesso ci siamo ritrovati a dover cambiare idea da un’ora all’altra, a causa del mutare così rapido della situazione. Ci siamo contraddetti spesso, per questo motivo. Ciò che avevamo deciso ieri, non funzionava più oggi. Abbiamo sempre cercato di raddrizzare il tiro e mantenere le basi ancora valide e ricostruire tutto da lì. Continuiamo a farlo, e credo che continueremo per molto tempo.

Abbiamo avuto il tempo per i recuperi. Per ritrovare la voglia dei classici, per ripescare quei libri che ci eravamo persi all’uscita, per curiosare e riscoprire i cataloghi. Ho letto finalmente La mite di Dostoevskij nella traduzione di Serena Vitale per Adelphi; sto leggendo Un altro tamburo di William Melvin Kelley (NN editore, traduzione di Martina Testa), un libro che forse non avrei mai scoperto senza questo periodo di stop forzato, e che invece mi sembra di grande importanza civile ancora ai giorni nostri, come sa solo la grande letteratura.

È entrata in vigore la legge che limita gli sconti sul libro: è stata per così tanto tempo al centro dei nostri dibattiti e dei nostri ragionamenti, di settore e non, per poi passarci sotto gli occhi in sordina, senza che nessuno di noi potesse averla come primo pensiero. Una buffa entrata in scena, quasi una beffa per un provvedimento così dibattuto, voluto, difeso, attaccato.

Sono state annullate da più di un mese tutte le presentazioni su tutto il territorio nazionale: autori e pubblico sono diventate di nuovo entità separate, destinate a incontrarsi solo tra le pagine. Per fortuna non è proprio così, ma lo spiego dopo.

Sono state annullate o rinviate anche le principali fiere di settore, non solo italiane ma internazionali: la Bologna Children’s Book Fair per la prima volta salta un anno, così come la fiera di Londra; non si è tenuto Book Pride a Milano; si sta ancora pensando a come e quando organizzare il Salone di Torino. Più in generale, non sappiamo ancora quando ci rivedremo tutti insieme in uno stesso luogo.

Anche in questo caso, però, non posso dirmi che sia tutto fermo: la rete, ancora una volta, ci ha restituito una possibilità e siamo stati velocissimi ad accoglierla. Sempre di più editori, autori, lettori e librai si sono incontrati virtualmente per organizzare dirette, dibattiti, presentazioni, video-recensioni. Si sono stretti rapporti e create alleanze, gruppi, scambi; abbiamo scoperto canali proficui di comunicazione a distanza e li usiamo moltissimo per ragionare insieme, produrre contenuti, sviluppare dialoghi e idee. Ci interroghiamo tutti e in alcuni casi lo facciamo più insieme di prima.

Infine, proprio un paio di giorni fa, è stata disposta con l’ultimo decreto del Governo, la possibilità di riaprire le librerie. Da un giorno all’altro, una comunicazione inaspettata soprattutto perché pone come improrogabile la riapertura di un settore che fino al giorno prima non solo non sembrava di prima urgenza, ma non era neanche mai stato oggetto di ragionamenti di sostegno ad hoc, e che d’un tratto diventa il test e il simbolo di riapertura nel paese. Ne dibattiamo quasi tutti da un paio di giorni, chi con preoccupazione e chi con entusiasmo; su minima&moralia è stata pubblicata proprio ieri una lettera aperta e chiara, firmata da oltre 150 librai. È un punto di vista che dà molto da riflettere e che consiglio a tutti di leggere.

Dunque dicevo: nel mese in cui tutto è stato fermo, sono successe molte cose – come è sempre in quei momenti della vita che poi ci sembrano tre vite insieme.

Mi sembra di poter dire che abbiamo lavorato tanto, tutti, di più, in nuovi modi; per sostenerci, per non perderci, per traghettarci, per reinventarci in funzione del dopo.

È passato tanto tempo e poco: pensavo che non ce ne fossero, ma ho comunque provato a buttar giù un po’ di perché.

Giulia Passarini