Indietro

Uccelli migratori

Mariana Oliver

A volte bisogna partire, anche se non è mai facile. È un po’ come prendere il volo, ma per andare dove? Il luogo e la casa dove viviamo sono radicati nella nostra memoria e sono proprio il nostro linguaggio e le nostre caratteristiche fisiche a ricordarci la nostra origine, eppure, nonostante tutto questo, noi, a volte, ce ne andiamo. A volte ce ne andiamo anche per sempre. Adottiamo altre lingue, abitiamo altre case e osserviamo altri luoghi con i nostri occhi, che, anche se aperti al cambiamento, restano gli stessi. E pian piano, quello che era estraneo sembra diventare familiare, o deve diventarlo, come per forza maggiore, prendendo la forma di un rifugio, mentre quello che ci appartiene da sempre sembra cambiare posto dentro di noi, ma per finire dove? Cosa succede quando il tempo e la distanza diventano più forti del ricordo? Cosa significa, quindi, costruire una casa?

Uccelli migratori di Mariana Oliver, da poco pubblicato da Il margine, ci parla di tutte queste cose. È una raccolta di testi brevi, in parte riflessioni poetiche e in parte racconti in presa diretta, dove sono mescolati reportage, analisi critiche e un’originale scrittura di viaggio. E anche se sono tanti i desideri e le storie, la matrice di tutto resta sempre la migrazione. Cosa vuol dire allora migrare?

Migrare a volte vuol dire usare parole nuove, perché altrimenti quelle familiari, ma estranee nella nuova terra raggiunta, diventano fragili nel ricordo, così come avviene a Emine Özdamar, un’emigrante turca trasferita a Berlino, che decide di scegliere solo parole in tedesco per rivendicare e riaffermare la sua identità, altre volte vuol dire avere fede nelle istituzioni, anche straniere, affidando la cosa più preziosa che si ha, i figli, così come avviene, all’inizio degli anni ’60, nell’operazione Peter Pan, in cui si assiste a un grande esodo di bambini cubani, che non rivedranno subito, come promesso, o mai più, i loro genitori. Migrare vuol dire andare oltre una barriera, rompendo quel confine fittizio, come avviene con il Muro di Berlino, di cui l’autrice afferma in uno dei suoi saggi: «Un muro è una benda collettiva che ci protegge dalla vergogna, la materializzazione di una fantasia umana ricorrente: esistere dove nessuno può vederci».

Migrare a volte vuol dire anche trascendere i propri confini per trasformarsi in qualcos’altro e ritrovarsi, come ha fatto Bill Lishman che, dopo essere diventato un pioniere nell’aviazione ultraleggera, riesce a guidare prima uno stormo di oche dall’Ontario alla Virginia e poi un gruppo di gru in via di estinzione. Migrare vuol dire anche compiere un viaggio interiore spesso necessario, come avviene nelle grotte della Cappadocia, così come racconta l’autrice in un altro di questi suoi saggi: «Alcuni riti di iniziazione cominciano con la discesa di qualcuno in una caverna o una fossa: regressus ad uterum. C’è una leggenda turca che spiega l’origine dell’umanità. Comincia in una grotta della Montagna Nera».

Si può anche scegliere di non migrare e di restare, come hanno fatto le “Trümmerfrauen”, le donne delle rovine, che hanno ripulito le città tedesche dalle macerie della Germania del dopoguerra, ricostruendole mattone dopo mattone e cercando di salvare ciò che poteva essere ancora usato, oppure si può scegliere di migrare, ma senza muoversi, poiché la trasformazione di cui a volte si ha bisogno parte proprio dalle parole e dalla forza rivoluzionaria di un linguaggio che può abbattere anche muri, così come è successo a Berlino, quando, cinque giorni prima che crollasse il muro, Christa Wolf fece il suo discorso memorabile ad Alexanderplatz.

In questo libro si viaggia in più dimensioni: i luoghi e i tempi in cui si atterra ogni volta sono sempre diversi, ma la storia, quasi inevitabilmente si ripete: si racconta sempre di una migrazione, a volte volontaria e altre volte forzata. Un viaggio che porta a grandi cambiamenti interiori nel linguaggio e nelle abitudini, un viaggio dove, come su un’altalena, si alternano tra loro dolore e desiderio, e dove la memoria deve fare i conti con il passato per trovare la forza di reinventarsi in un luogo diverso, un posto nuovo, ma estraneo, dove il futuro spaventa perché la mette sempre in discussione.

«Casa – afferma l’autrice nel suo ultimo saggio – è anche una registrazione dell’infanzia, un ricordo impiantato». Costruiamo la nostra casa con i mattoni della memoria. Quando ci allontaniamo da essa togliamo l’ancora, e la casa, senza le sue radici, potrebbe sgretolarsi. Ed ecco perché bisogna avere grandi ali, perché solo grazie a esse possiamo trovare la forza di prendere il volo e proteggerci, quando serve.

Uccelli migratori

Mariana Oliver
IL MARGINE
VAI AL LIBRO
Genere:
Listino:
€ 16.00
Collana:
Data Uscita:
17/03/2022
Pagine:
0
Lingua:
EAN:
9791259820648