
Pasquale Voza
Né genesi degli anni di piombo né veicolo o fattore di una mera modernizzazione della società italiana, il Sessantotto volle essere, almeno nel suo paradigma fondativo, una “utopia concreta”, legata alla prospettiva della “irruzione della politica nella vita quotidiana”, della critica pratica dei nessi tra “scienza e capitale” e della ri-definizione della forma stessa della politica. Oggi, nel tempo della ristrutturazione oligarchica dei poteri e della proliferazione-disgregazione atomistica della società, nel tempo di quello che potremmo nominare come conflitto capitale-vita, si ripropone acutamente il problema di una nuova, inedita soggettivazione radicale o, se si vuole, bio-politica. Contribuisce a tenerlo aperto, nella sua “asimmetria”, anche il femminismo, nato nel Sessantotto come sua “rottura politica”.