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Da sempre un vettore culturale: sulla storia di minimum fax

8 febbraio 2023 | cristina
Da sempre un vettore culturale: sulla storia di minimum fax

Intervista a Daniele Di Gennaro, fondatore ed editore di minimum fax.

In origine era il fax, strumento rivoluzionario che poteva portare testi e immagini direttamente a casa nostra, prima dell’avvento di Internet, delle e-mail, chat, forum, servizi di messaggistica istantanea e social network. E quindi perché non fare una rivista distribuita via Telefax, per esplorare le novità in ambito letterario prodotte sia in Italia che all’estero con una vocazione particolare per la narrativa americana? Nasce così minimum fax.

Poi il salto a editrice libraria, con un catalogo che via via si arricchiva di nomi dalle irresistibili risonanze, specie per quel che riguardava gli Stati Uniti, cui man mano andavano a sommarsi la saggistica d’intervento, di musica, di cinema, mentre la presenza degli autori italiani cresceva e qualificava la casa editrice. Un lungo cammino, accompagnato e sostenuto per buona parte da PDE. E dopo qualche anno lontani, per la gioia di tutti noi, il ritorno nella nostra promozione editoriale.

Ne abbiano parlato con Daniele Di Gennaro, fondatore ed editore della casa editrice romana.

Cos’è oggi minimum fax?

Minimum fax oggi, in crescita geometrica, è ancora quello che era allora, cioè un vettore. In origine era una rivista letteraria che si diffondeva per via telefonica, e attraverso lo stesso canale ci arrivavano anche segnalazioni dai nostri lettori, che davano consigli e che si manifestavano con grande competenza. Fu l’inizio di quella editoria che non poteva non tener conto del flusso di scambio di informazioni tra editore e pubblico, che poi è quello che fa l’editoria contemporanea. Il numero zero della rivista via fax è uscito nel Natale 1992, quindi abbiamo compiuto appena trent’anni.

Tra il 1993 e il 1995 abbiamo pubblicato i primi libri. Giravamo con un furgone in tutta Italia, avevamo necessità di incontrare lettori e di innescare questo ascolto reciproco, che è alla base dell’apprendimento della vita dell’editore. Non possiamo fare a meno di questo, ossia di avviare il dialogo, attraverso la promessa di uno standard qualitativo che poi alimenta una comunità di lettori. Sono passati trent’anni da allora e siamo qua a raccontare anche quel tipo di incubatore che fu la PDE di allora, una struttura capace di riconoscere nell’editoria indipendente un luogo di generazione di valori in cui creare una comunità anche attraverso la ricerca, che era l’unico strumento che permettesse di affacciarsi in un mercato già ben presidiato.

Siete stati tra i primi a pubblicare nei vostri volumi i nomi di tutti coloro che hanno partecipato alla loro realizzazione, una sorta di titoli di coda simili a quelli dei film. Negli anni avete dato vita anche a minimum lab, un laboratorio nell’ambito del quale organizzate corsi su tutti gli aspetti dell’attività editoriale e culturale. Anche questo fa parte di quel dialogo che la casa editrice ha instaurato con il pubblico?

Si tratta di un’evoluzione della logica di cui parlavo prima. Riconoscere la competenza altrui. Dichiarare, alla fine di libro come alla fine di un film, chi ha lavorato al progetto e chi è stato fondamentale. Il traduttore, il redattore, il correttore di bozze. Chi ha contribuito a portare avanti tutta l’orologeria produttiva. Ecco, questo tipo di riconoscimento è la mappa iniziale per poter instaurare un rapporto vero, di scambio e di crescita comune. Non si può non vedere nella lettura un atto di accoglienza. Quel tipo di affidamento di apertura è un atto di accoglienza, così come la condivisione della conoscenza, che poi è anche l’atto politico che ha generato minimum lab. Il nostro laboratorio di narrazione dei processi dell’editoria e dei mestieri della cultura, che in fondo a loro volta si occupano proprio di narrazioni. In fondo, lo fanno sia minimum fax media, impegnata nella produzione audiovisiva, sia la stessa casa editrice.

Il racconto di questi processi e mestieri aiuta anche la valutazione qualitativa di quello che facciamo. Non tutti sanno come opera nello specifico una casa editrice, conoscono le fasi della selezione della ricerca, i dettagli sul diritto d’autore o il lavoro commerciale e amministrativo dietro la pubblicazione di un contenuto editoriale. Questo tipo di operazione è stata necessaria, anche perché ai nostri tempi nessuno ci aveva detto niente. Adesso, per fortuna, esistono corsi, master e seminari che aprono le porte anche a lettori e appassionati. Giustamente, perché l’editore deve anche ascoltare, essere quasi un vettore a sua volta, accogliere le informazioni, cercare di convogliare, organizzarle, confezionarle al meglio. Dunque essere un medium.

A questo sguardo verso l’interno, si accompagna un forte sforzo di dialogo e comunicazione verso l’esterno. Quanto pesa? Quanto è cresciuto questo aspetto nel lavoro editoriale di minimum fax?

La comunicazione verso l’esterno è stata decisiva, non avendo la potenza finanziaria per acquistare spazi pubblicitari, abbiamo dovuto preparare l’attesa con dei piani media strutturati e organizzati con grande anticipo rispetto ai lanci, con eventi dal vivo legati ai libri, con produzioni audiovisive legate ai testi. La comunicazione è produzione stessa, cioè bisogna pensare a dei contenuti social, video, testuali e dal vivo che abbiano la capacità di costruire una gabbia che protegga il lavoro della redazione della casa editrice e il libro stesso, che lo faccia arrivare, all’interno di un flusso di tantissime novità, quasi 80.000. Insomma, che metta quell’opera in condizione di essere notata e attesa. E a sua volta, il progetto deve essere collocato all’interno di una mappa, messo in relazione con altri della casa editrice, per creare una sorta di percorso. Mostrare la linea editoriale e che tipo di bisogni culturali latenti la casa editrice sta cercando di intercettare. E questo è il tipo di ricerca che genera una comunità di lettori.

Abbiamo iniziato trent’anni fa senza capitale iniziale, nessun tipo di potenza industriale o editoriale, né alcuna eredità professionale. Io vengo da un percorso di giornalista, ho studiato giurisprudenza, ho fatto il musicista e mi sono trovato per passione a occuparmi di queste cose e, per sottrazione, sono arrivato a fare la cosa che mi piaceva di più. Questo è un messaggio subliminale che lancio a chi sta aggrappato a qualcosa che non ama fare: si fanno meno danni sociali se ci si occupa di qualcosa che piace. La casa editrice è un bengodi di apprendimento, di stimoli. Il motore è sempre la curiosità, la voglia di farsi sorprendere, di alimentare la meraviglia, quello stupore che abbiamo ancora dopo anche tanti anni in editoria e più di 1400 titoli pubblicati.

Tra le novità recenti e i libri che usciranno prossimamente, quali sono quelli su cui puntate di più?

Uno su tutti è Radio magia di Valerio Aiolli (qui vi parliamo della presentazione organizzata nell’ambito di #PDEsocialclub, ndr), un romanzo che racconta la storia di un gruppo di ragazzi che fondano una radio libera, con tutto quello che comporta questo tipo di vita e di relazioni, le gioie e i drammi legati a un progetto del genere. E poi c’è la forza evocativa della musica, che forse è il vettore emotivo più potente. Perché, per come io ho vissuto questo percorso, venendo anche dall’ambito musicale, la letteratura, la forza della parola, è anche un evento emotivo che si aggrappa al suono. Stiamo riponendo molte speranze in questa bella scrittura.

Seguono, naturalmente, tutte le altre collane che continuano a scavare attorno alla trasformazione dei linguaggi. Noi crediamo molto negli innovatori, quelli che forzano un canone e ne creano un altro: quindi puntiamo tanto sulle collane di musica, di cinema, di TV, di teoria della scrittura, di narrativa angloamericana. Ma crediamo molto anche nella collana “Introvabili”, i cui titoli, libri che sono scomparsi da tantissimi anni e che hanno ancora senso oggi, sono spesso segnalati da lettori. È rimasta la curiosità che guidava la rivista via fax. Oggi, ancora più che mai, subiamo il fascino di quelli che non si limitano a subire un canone passivamente, ma forzano una lingua per crearne un’altra, per esprimere un sentimento di libertà che poi rappresenta una liberazione anche per il lettore.

Potete ascoltare l’audio della nostra intervista nel tredicesimo episodio del nostro podcast magazine Indie – Libri per lettori indipendenti.