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Sanguinamenti. Incipit Tragoedia

Gabriele Tinti

Siamo fatti di “ossa, carne e vene”, questo è quello che nel nostro presente sappiamo e vediamo di noi stessi, ma quante volte ci siamo chiesti cosa siamo davvero e cosa, magari, siamo stati un tempo? Il nostro “adesso” quanto ci racconta di noi e del nostro passato? Cosa ci fa vibrare e quanto abbiamo davvero esplorato gli abissi del dolore per poter affermare che non abbiamo paura della morte? Oppure viviamo i nostri giorni immaginandola o allontanandola dalla nostra mente con grande timore?

Quello che sicuramente ci viene naturale fare è resistere alla morte, ma come? Molti di noi lo fanno remando il più possibile nel verso opposto e celebrando, in ogni modo, la vita. Molti di noi, ma non tutti. La morte, a rifletterci bene, è l’ultima certezza che abbiamo prima del grande salto verso l’ignoto, un abisso sconosciuto da cui nessuno ancora oggi è tornato. Ed è proprio in questo punto, in questo passaggio obbligato (se è un passaggio), che Gabriele Tinti si sofferma e ci vuole condurre con Sanguinamenti – Incipit Tragoedia, un libro, da poco pubblicato da La nave di Teseo, composto da una serie di epigrammi che l’autore ha composto nella primavera del 2020: «Mi seguirai domani, sull’orlo del destino / affonderemo insieme, mano nella mano. / Vorrei una morte così, un dolore materno / ma il viaggio è incerto, precipita nella via. / La volontà si aggrappa a nuovi fondi, /a un altro miraggio//».

Ed è proprio quando il dolore scopre una ferita più profonda, di cui si riconosce la sensazione, ma non se ne ha il ricordo, che bisogna scegliere se bloccare l’emorragia: «Non abbandonarmi. Un inferno scava nel mio sangue. / Brancolo, m’affanno. Non ho ancora imparato a stare qui. / Ferma l’emorragia, lotta per me, insegnami come fare.//», intervenendo, magari, come se fosse un’azione già compiuta infinite volte: «Cucio l’emorragia, / so come fare, / metto un ago nuovo / ad abbaiare.//», oppure se lasciarsi andare per farsi trasportare in questo viaggio ignoto: «Come un tempo mi addormenterò / nell’alito caldo dell’emorragia. / Sognerò l’ombra immensa / d’una pietra antica cadere. / Mi stringerò a quel mucchio / di cenere, non mi vorrò svegliare//».

Svegliarsi da cosa? Cosa appartiene davvero alla nostra memoria e cosa al sogno? «Ho sognato questo momento: / – scrive Tinti – un deserto di resti, la notte / che non passa, i tempi andati, / una pistola alla tempia, / una parte che appare, / il mio corpo che scompare//». La risposta può forse cambiare il nostro viaggio o la nostra destinazione? «Fuggire? Dove mai potremmo andare? / – si legge nella poesia “I Gladiatori”, ispirata all’omonima opera di Giorgio de Chirico – L’autunno è polveroso, poche le pause. / I corpi non lasciano tracce. / Le nostre anime se ne vanno / di soppiatto, senza farsi accorgere, / mentre il banco salta in un momento / e la vita s’incolla in questo brulicare / di gesti e di riflessi, in questo lottare//».

Quale modo migliore di affrontare la paura della morte e del dolore se non passandoci attraverso? Il poeta è il primo ad andare incontro alla sofferenza: «Eundum est tamen, (Eppure bisogna andare) / dove poi, non lo so, eppure bisogna. / Metto le mie ossa una sopra l’altra, / mi preparo. Qualcosa mi spinge / a respirare dove gli altri non vogliono / – a sanguinare. Andrò senza riparo. / Uscirò corteggiando l’ennesima / impresa, una punta di spada//».

La sua scrittura sa far tesoro di ciò che arriva dal passato o che ne è testimonianza, a partire dai cimiteri e dalle rovine e fino ai grandi capolavori dell’arte, anche se il poeta non può fare a meno di chiedersi quale possa essere la sorte, dopo la morte, di chi ha contribuito a creare quello che per noi oggi è il passato: «Nessuno prova compassione / per te, per un fantasma. / La vita ti ha ucciso in fretta, / Sei passato in un momento. / Cosa vuoi che conti il tuo nome / laggiù? È una brama spenta / nel pallore d’una faccia di pietra, / un mea culpa recitato alla terra//».

Tinti segue le tracce di ciò che profuma di antico, di ciò che oggi è scomparso o di cui è rimasto poco, come se stesse riprendendo un percorso già conosciuto o fosse certo che esso lo condurrà da qualche parte. È proprio da qui che Sanguinamenti prende ispirazione: a partire dalle collezioni epigrafiche del Museo Nazionale Romano, dei Musei Capitolini e del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, fino alle iscrizioni funerarie più recenti. Alcuni epigrammi dell’opera, in particolare, sono ispirati agli epitaffi greci raccolti da Werner Peek e a quelli presenti nell’Antologia Palatina, mentre le poesie Gladiatori, Il veggente, Canto d’amore e Figliol prodigo sono ispirate alle omonime opere di Giorgio de Chirico. In alcuni suoi testi sembrano prendere vita anche le opere di grandi maestri come Mantegna, Bramante e Rosa, che, come lui afferma nelle note del libro, sono state l’attivante di alcune sue poesie contenute in questa raccolta.

Siamo “vecchie scommesse, impronte e sedimenti” di qualcosa che probabilmente il tempo non può totalmente cancellare, anche se la terra ride della paura del nostro dolore: «Questo giorno perfetto potrà tornare. / – afferma il poeta – L’ho sentito sussurrare in un canto d’amore / intonato a bassa voce dal pittore». Cosa succede quando arriva il momento di “seppellire le ali”, per andare verso, e chissà per quanto tempo, il regno delle lunghe ombre e delle facce vuote, dove manca l’ossigeno, la gravità ha fame e si perde l’eco? «Per oggi contentatevi di questo cielo senza nubi, / – scrive ancora Tinti in Canto d’Amore – salite a bordo e recitate le vostre preghiere. / Presto nascerà a denti stretti un nuovo poeta, / tenderà un agguato alla morte per osservarla meglio. / Punterà contro se stesso, contro di voi, e libererà / il dio da quel supplizio in cui l’avete appeso. / E si tornerà a giocare senza pensieri, a ridere / in faccia alla notte, davanti alle parole//».

Sanguinamenti. Incipit tragoedia

Gabriele Tinti
LA NAVE DI TESEO
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Genere:
Listino:
€ 18.00
Collana:
Data Uscita:
10/06/2022
Pagine:
0
Lingua:
EAN:
9788834610251