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Chiamami così

Vera Gheno

Siamo abituati a dare un nome alle cose e a chiamarle sempre con quel nome, ma ci siamo mai chiesti cosa succederebbe, un giorno, se provassimo a cambiarlo? Saremmo disposti a chiamare qualcosa o qualcuno con un altro nome, soprattutto se sapessimo che questo è il modo più giusto per definirli?

Sì, i nomi sono una parte fondamentale del nostro linguaggio, poiché descrivono la nostra realtà, aiutandoci a comprenderla, ma non solo. Essi hanno il grande potere di stravolgerla, se non rispecchiano il vero significato di quello che evocano e chiamano. Ecco perché dobbiamo fare attenzione e utilizzare i nomi nel modo più corretto, se vogliamo migliorare la società in cui viviamo. Ed è proprio questo genere di riflessioni che ci esorta a fare Vera Gheno in Chiamami così, da poco pubblicato da Il Margine: «Noi esseri umani abbiamo bisogno di organizzare l’esperienza cognitiva tramite le parole: abbiamo bisogno di nominare la realtà per poterla rendere raccontabile, per poterne parlare. Chi non viene nominato in una società basata sul lógos, sulla capacità del linguaggio, non esiste. Antropologicamente parlando, è questo il modo in cui noi interpretiamo il reale: nel momento in cui diamo nomi alle cose, diventiamo in grado di parlarne e dunque di comprenderle. Siamo esseri narranti e narrati e le parole sono uno snodo fondamentale del nostro modo di conoscere».

Siamo sicuri di conoscere davvero la nostra realtà, si chiede l’autrice, quella in cui ci piace considerarci normali? E se ci accorgessimo che la normalità è, in verità, una società in cui esistono tantissime differenze? Che poi, alla fine, sono proprio le differenze quelle che ci distinguono, ci regalano personalità, ci rendono particolari o semplicemente descrivono la nostra condizione e quindi ciò che in fondo siamo, dal punto di vista personale, sociale, religioso, culturale o politico. Quanta normalità c’è, in realtà, intorno a noi? Chi sono, alla fine, i normali? «L’affermazione “Per me siete tutti uguali” nasconde un’insidia.  – afferma l’autrice nel saggio – La diversità non deve essere ignorata, ma celebrata, e nominata bene». Non siamo forse noi i primi a far parte, in un modo o nell’altro, di queste “naturali” diversità? «Pensiamo spesso alla diversità come a una categoria nella quale rinchiudere tutto ciò che non rientra negli stretti e mutevoli parametri di quella che chiamiamo normalità.  – si legge nella presentazione del libro, curata da Fabrizio Acanfora – Eppure, il valore della diversità può essere compreso a fondo solo se ci allontaniamo da questa interpretazione comparativa e cominciamo a considerarla come sinonimo di varietà».

La diversità è ovunque noi volgiamo lo sguardo, spesso anche nei più piccoli dettagli. Avere sempre la capacità di includere, accogliere, e quindi di non discriminare ci permetterebbe di andare incontro alle differenze degli altri, così come di fare accettare da loro, allo stesso modo, le nostre se facessero altrettanto, ma basterebbe? «Qual è il problema di “inclusività”? La capacità di accogliere, di non discriminare, – spiega l’autrice del libro – implica in sé uno squilibrio: che ci sia chi include e chi viene incluso. Sopravvive l’idea che esista chi ha in qualche modo il potere o il diritto di includere, e “regala” l’inclusione a qualcuno che quasi la subisce». Chi include sarebbe il normale che si prende cura di chi è differente?

Invece di parlare di inclusività, non sarebbe forse più giusto, afferma Gheno, così come sostiene lo stesso Acanfora, il suo sodale e maestro di diversità, parlare di convivenza delle differenze? «Possiamo continuare a usare la parola “inclusività”; usiamola, ma ricordando che è l’inizio di un percorso, non la fine, è il punto dal quale si parte, non al quale si arriva. Rovesciamo il paradigma della normalità versus la diversità e parliamo di “differenza diffusa”, intendendo con ciò che io sono differente da te quanto tu sei differente da me: il movimento di convivenza deve essere reciproco. Tu puoi decidere anche in cosa relazionarti con me».

Così come la lingua, ci racconta l’autrice, dà una forma alla realtà, interpretandola e creando la nostra identità, allo stesso modo la realtà può apportare cambiamenti al nostro linguaggio: «Noi siamo tutti diversi, non tutti uguali, ed è giusto lasciare che la complessità della realtà modifichi la lingua. A sua volta la lingua contribuisce a cambiare la realtà, contribuisce a cambiare il modo in cui noi vediamo le cose: ciò che si nomina, e si nomina bene, si vede meglio». Come recita la celebre massima, nomina sunt consequentia rerum: i nomi sono la conseguenza delle cose. Ma chi osserva le cose, chi le analizza? Non sono forse esse condizionate da come noi le vediamo?

La verità, afferma l’autrice, è che la lingua è specchio della cultura e della società, ecco perché occorre partire proprio da qui per operare un cambiamento e contrastare tutto ciò che ancora oggi etichetta, discrimina, offende e ferisce l’altro. Per far sì che questo avvenga non dobbiamo essere misoneisti, ma accogliere quel nuovo che può farci conquistare una sana convivenza, con la straordinaria diversità di quella che chiamiamo da sempre normalità, con la quale abbiamo sempre avuto a che fare, ma con cui non abbiamo ancora imparato a convivere in armonia. La rivoluzione deve essere culturale e quindi deve avvenire dal basso, a partire da ognuno di noi: «Io penso che si possa fare meglio di così: vorrei un mondo diverso, e questo mondo diverso non ce lo possiamo procurare se non ci impegniamo tuttə.  – afferma l’autrice – Dobbiamo considerarla una cosa che ci tocca, non è compito degli altri, ma è compito nostro, quotidianamente. Per fare meglio si parte da sé: il primo passo non è tenere alto il ditino e indicare le cose sbagliate, ma cambiare prima di tutto i propri costumi sociali, culturali e linguistici. Ed è una fatica».

Le differenze non ci devono allontanare o crearci delle paure. Quello che ci spaventa può essere per noi, in realtà, un’opportunità o meglio una risorsa che potrebbe arricchirci. Chiamare le cose con il nome che meritano farebbe la differenza. Dare un nome alle differenze ci unirebbe in una nuova normalità, a cui potremmo dare, volendo, “un nuovo nome”. Come suggerisce Vera Gheno, dovremmo imparare dai bambini e dalle bambine di oggi, che vivono con estrema naturalezza la diversità, forse perché, a differenza nostra, grazie anche alla globalizzazione e a internet, sono stati esposti a essa fin da piccoli.

Chiamami così

Vera Gheno
IL MARGINE
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Genere:
Listino:
€ 10.00
Collana:
Data Uscita:
12/05/2022
Pagine:
0
Lingua:
EAN:
9791259820808