
Tanguy Viel
È un sabato d'ottobre e tutta la "famiglia" è riunita a casa di Marin: Lucho, Andrei, Pierre, Jeanne, lo zio e la zia… La grande finestra aperta sulla baia rischiara la stanza che sembra una sala d'imbarco davanti alla città grigia, con il porto aperto sul proscenio, i pini, e una distesa infinita di pietre ammucchiate come a dominare le acque ferme. Sembra una giornata memorabile, e non perché Marin è tornato a casa dopo tre anni di prigione e può di nuovo abbracciare con lo sguardo la massa compatta, industriosa, arrugginita della sua città, ma perché lo zio è pettinato come non si è visto mai. È sistemato sulla sua polverosa sedia a dondolo, vestito di tutto punto, miracolosamente senza la sua vecchia vestaglia addosso, e ha l'aria solenne delle occasioni importanti. L'idea, dice, non è sua, è di Marin, ma lui è d'accordo... Con il suo tono da prete, Marin dice che l'idea gli è venuta in prigione ed è semplice, tremendamente semplice: ripulire il casinò e ritornare tutti a galla. Lucho, Andrei, Pierre, Jeanne non si muovono, inchiodati al pavimento incerato della sala, mentre Marin e lo zio continuano il concerto a due voci: il casinò, i soldi, la gente che conta in città e loro che, se ce la fanno, realizzano l'assoluta perfezione del crimine, il colpo sempre sognato, quello che farebbe vivere per sempre il nome della "famiglia".