
Marta Vignola
La necessità di ripercorrere la biografia cilena nasce dalla possibilità di osservare l’attuale crisi neoliberista globale da lontano, fin dal suo esordio. Il Cile è stato il primo Paese a sperimentare sul proprio corpo sociale il fallimento delle teorie friedmaniane e a sopportare una duplice forma di impunità: quella legata alla violazione dei diritti umani ad opera dello Stato terrorista del dittatore Augusto Pinochet e quella legata alle conseguenze delle politiche neoliberiste. Finora il continente latinoamericano è stato raramente considerato un possibile terreno di studio rispetto alle strategie politiche, economiche e sociali che sono state messe in campo tanto dagli attori istituzionali quanto dalla società civile, nonostante proprio nel cortile di casa nord americano la stessa crisi che sta attraversando oggi l’Occidente sia passata quasi un ventennio fa. La crisi capitalista e i processi di globalizzazione nel continente desaparecido si sono trasformati in un’opportunità di ridisegnare una forma di economia e di politica non finalizzata alla massimalizzazione del profitto ma alla produzione di un’etica sociale alternativa a quella del mercato. Movimento Nazionale Imprese Recuperate, Indigeni, Piqueteros, Organizzazioni per i Diritti Umani, questo è lo specchio in cui potremmo guardare, questo è ciò che il dopo neoliberismo ha prodotto, in parte, nella società latinoamericana. E lo potremmo fare iniziando anche a immaginare una decolonizzazione del pensiero, per imparare dal sud attraverso una epistemologia del sud. Un sud (o meglio una molteplicità di sud) non inteso come area geografica ma come metafora dei dominati e degli oppressi, come luogo in cui le conseguenze della globalizzazione sono state pagate in termini di povertà, arretratezza e sfruttamento. Un sud che però oggi è in grado di rovesciare un canone economico, politico, sociale ed epistemologico e ripartire verso forme di sviluppo indipendenti e autonome.