Conforto

Il risultato al quale deve pervenire chi conforta un condannato a morte è che questi si convinca che la propria fine ignominiosa sia un bene, un trapasso a una nuova vita nella gloria dei santi. Il confortatore dovrà prevalere sui dubbi e sulla disperazione del peccatore reo morituro convincendolo che il pentimento, la conversione, la fede nella grazia divina gli consentiranno una rinascita nell’eternità, per la quale la condanna capitale è infine una fortunata occasione. Nella letteratura istruttiva che in proposito si offre alle confraternite della “misericordia e morte”, un testo di largo riferimento nello Stato pontificio è nella seconda metà del XVI secolo un opuscolo del chierico reatino Tullio Crispoldi (1510-1573), “Alcune ragioni da confortare coloro che per la giustitia publica si trovano condannati alla morte”, pubblicato a Roma nel 1565 e dedicato alla Compagnia di san Giovanni Decollato “et a qualunque persona, che per sua carità si diletterà d’andare a confortare coloro, che sono dalla giustizia condannati a morte” L’operetta del Crispoldi venne riedita ad Ancona nel 1572 dalla Compagnia della Misericordia, facendola precedere da uno scritto del medesimo genere del domenicano Zanobio de Medici (presente già nell’edizione romana), e seguire dall’ “Essortatione da farsi al Condennato, & altre Oratione”. La dialettica del testo del Crispoldi e l’andamento cerimoniale, liturgicamente scandito, dell’ “Essortazione” vengono ora acquisiti a una resa teatrale realizzata nel riuso dei linguaggi originali in forme e ambientazioni suggerite dalla nostra contemporaneità.