
Marianna Gensabella Furnari
È possibile e in che senso parlare di un 'aiuto a morire'? Quando cessa ogni speranza di guarigione, e la vita che rimane diviene sempre meno accettabile, quale compito spetta ad una medicina che voglia al di là della 'thecne' tenere fede alla sua 'humanitas'? È possibile, al di là delle contrapposizioni tra sacralità della vita e qualità della vita, trovare un terreno comune, dei valori condivisibili che ci aiutino a lavorare insieme per la 'cura' del malato terminale? Frutto di una ricerca interdisciplinare, che ha coinvolto docenti e ricercatori dell'Università di Messina, appartenenti all'area medica, giuridica e filosofica, e coordinata da marianna Gensabella Furnari, questi atti di convegno rileggono la domanda di eutanasia come domanda di cura, cercando di cogliere le implicanze etiche e giuridiche del nostro rispondere. Tra le ragioni del si e quelle del no all'eutanasia, le relazioni dei medici e dei filosofi si impegnano nell'ampio terreno comune della difesa della qualità della vita del paziente terminale. Un terreno non privo di contrasti e dilemmi, in cui si impongono difficili scelte su quali cure continuare e su quali sospendere, e in cui 'l'aiuto a morire' viene a declinarsi come impegno nella terapia del dolore, nelle cure palliative, nella promozione di 'hospice', nell'attuazione dell'assistenza domiciliare. Ma come intendere quest'aiuto a morire in rapporto al diritto? Quali vie, quali tempi deve percorrere il legislatore per interpretare il 'diritto di morire'? Dalla rilettura della legge olandese, a quella della legge italiana sulla terapia del dolore emergono sensi diversi di intendere i limiti del lecito e dell'illecito dei comportamenti che incidono nel processo del morire. Un processo che avviene in un tempo-limite, 'alle frontiere della vita', dove si gioca la partita per il si o per il no del senso del nostro vivere in relazione, come uomini tra gli uomini.