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Letture d’estate: l’ozio del saggio

19 luglio 2019 | cristina
Letture d’estate: l’ozio del saggio

Saggi per tutti i gusti in questa calda estate del 2019. E appassionanti quanto un romanzo

L’estate, si sa, è il momento in cui si prendono in mano tutti quei libri che nel corso dell’anno abbiamo giudicato, spesso a torto, troppo impegnativi per la frenesia della vita quotidiana. Le giornate si allungano, il tempo libero aumenta, i ritmi rallentano: la condizione ideale per allenare la mente, ampliare gli orizzonti insieme alle conoscenze, riflettere su ciò che ci circonda. E comunque, chi lo ha detto che, nel fare tutto questo, non ci si possa anche rilassare con la lettura di un saggio, affascinante e appassionante al pari di un romanzo?

Ecco perché vogliamo dedicare questo secondo episodio di Letture d’estate, rubrica stagionale dove vi consigliamo alcune novità selezionate dai cataloghi degli editori PDE, ai saggi da non perdere. Libri estremamente attuali per capire il mondo. 

Nelle stanze dei bottoni

E per comprendere quello che succede intorno a noi, è necessario un certo approfondimento dei meccanismi che oggi governano le regole del gioco. Casca proprio a fagiolo il saggio di Claudio Landi, giornalista economico di Radio Radicale e attento osservatore della scena europea e internazionale, dedicato alla figura che forse più di tutte ha dominato la  politica negli ultimi anni, ridisegnando le relazioni politiche e internazionali. 

In Frau Merkel (Passigli), Landi ci propone una serrata analisi su quanto l’azione di governo Merkel abbia significato e prodotto in termini politici, geopolitici e, soprattutto, economici. Commercio, scambi, multilateralismo, capacità di incontro e di compromesso sono ciò che guida l’azione politica di Merkel nelle relazioni internazionali, in un mondo sempre più tentato dal bilateralismo assertivo trumpiano, dalle politiche di potenza, dal ritorno dei muri. 

Naturalmente, nella trattazione di Landi trova spazio anche l’analisi dei rapporti della Germania con Russia e Cina, della relazione valoriale prima ancora che geopolitica con gli Stati Uniti e quella, ovvia, naturale, organica con l’Unione Europea. Al rapporto con il nostro Paese, spesso faticoso, Landi dedica l’ultimo capitolo di Frau Merkel

Intanto, il mondo va avanti. A costo di tornare indietro. È un po’ il succo di Il secolo asiatico? (Fazi), nuovo libro di Parag Khanna, superanalista delle strutture economiche e politiche planetarie. L’Asia sta tornando egemone, sul piano economico, su quello politico e su quello culturale. Un’Asia che va dalla Russia all’Australia, dall’Arabia Saudita al Giappone, un superagglomerato di cinque miliardi di persone che significa il quaranta per cento del pil mondiale e che trova il suo centro propulsore nella Cina di Xi Jinping. 

Khanna delinea una tecnocrazia, costruita a partire da un capitalismo diverso da quello occidentale, dove il mercato viene piegato alle esigenze della società e gli investimenti principali vengono fatti nella ricerca. Reti informatiche, certo, su cui viaggiano i big data e le transazioni vorticose di borse e mercati, ma anche la versione terzo millennio delle antiche carovaniere,Vie della Seta supertecnologiche che attraversano deserti e steppe, montagne e praterie, e che marcano quel territorio immenso col segno della nuova superpotenza. Fino in Europa e fino in Africa. Come un tempo, prima della decadenza, prima della colonizzazione, prima delle guerre dell’oppio e della frammentazione dei signori della guerra.

E di capitalismo parla anche il curioso saggio di Cobol Pongide, al secolo Fabrizio Carli (scienziato, ufociclista e musicista), ma da un punto di vista molto meno “terrestre”. Dove si spingerà il capitalismo prossimo venturo? Dove ci stiamo già spingendo tutti noi? 

A queste domande inizia a rispondere Marte oltre Marte. L’era del capitalismo multiplanetario pubblicato da DeriveApprodi. Imprese private che si preparano a colonizzare lo Spazio, a partire dalla Luna per arrivare fino a Marte entro il 2030 (ne abbiamo parlato nel nostro articolo dedicato ai 50 anni dall’allunaggio), trattati internazionali che si avviano a regolamentare lo sfruttamento economico di nuovi pianeti, formazione di una nuova e specifica forza lavoro, antropocentrismo e transumanesimo.

Tutto questo sembra fantascienza ma è già qui. Si chiama NewSpace, la new economy interplanetaria post globale caratterizzata dall’entrata in scena di aziende private e indipendentemente dai governi in campo aerospaziale. Cosa comporterà questo ciclo del capitale dal punto di sociale e antropologico? 

In un certo senso, il rapporto tra società private e governi è al centro di un saggio piccolo ma densissimo, che affronta con chiarezza una delle questioni più rilevanti dell’epoca che stiamo vivendo. Si tratta di Leaks. Whistleblowing e hacking nell’età senza segreti, uscito da poco per i tipi di Luiss University Press e scritto da Philip Di Salvo, giornalista, ricercatore e docente presso l’Istituto di media e giornalismo dell’Università della Svizzera italiana di Lugano. 

Julian Assange, Chelsea Manning, Edward Snowden, Christopher Wylie: negli ultimi anni il dibattito sui whistleblower è diventato non solo protagonista delle cronache, ma ha anche cambiato il nostro modo di guardare al web 2.0. Whistleblower è il termine con cui vengono indicati coloro che, in possesso di informazioni riservate su illeciti perpetrati da una organizzazione, decidono di renderle pubbliche. 

Da WikiLeaks alla vicenda di Cambridge Analytica, i grandi casi di whistleblowing hanno acceso i riflettori su questioni di massima importanza come privacy, sicurezza informatica e sorveglianza dei cittadini da parte dei governi, aprendo la strada a profonde riflessioni. 

Nel suo saggio, Di Salvo ci parla proprio del rapporto tra internet e il potere politico, ma anche tra la rete e il giornalismo, attraverso un’analisi dettagliata di fatti e notizie, inquadrando il fenomeno in un rigoroso contesto teorico.

Il curioso della scienza

«Scrivere questo libro è stato come ritrovarsi sulla linea di un confine spalancato, strizzando gli occhi per vedere meglio qualcosa di prodigioso», dice Michael Pollan di Come cambiare la tua mente (Adelphi). E la scienza spesso è così, sembra qualcosa non solo di strano, bizzarro, curioso. Ha del prodigioso.

Per questo vi consigliamo di leggere questo nuovo, strepitoso, saggio in cui Pollan, giornalista e autore di raro acume, cultura e talento, non parla di cibo e nutrizione, ma di sostanze allucinogene e psicotrope, di LSD e di psilocibina. In un certo senso, cibo sacro per aprire le porte della percezione, raggiungere livelli della coscienza generalmente preclusi e comprendere funzionamento, capacità e limiti di quella mente umana che forse rappresenta l’ultimo grande mistero per la scienza. 

Pollan, qui, non solo intervista testimoni e protagonisti, guru più o meno sedicenti, scienziati serissimi, medici di frontiera, ma sperimenta in prima persona. Il risultato è un viaggio vertiginoso e affascinante attraverso le recenti scoperte della neuroscienza, in un libro che sembra un incrocio fra un diario di viaggio e la cronaca di un esperimento.

Telmo Pievani è, invece, un grande biologo evoluzionista, ma anche un filosofo della scienza e un meraviglioso divulgatore. Quando spiega e racconta, tutto appare limpido ed evidente nella sua vertiginosa complessità. Prendete questa sua ultima fatica uscita da Raffaello Cortina Editore, Imperfezione

Basta il titolo per correre in libreria, perché già intuiamo dove ci porteranno quel titolo e il sottotitolo Una storia naturale: alla constatazione che il motore primo dell’evoluzione è l’imperfezione, che noi siamo un insieme di imperfezioni di successo, che la nostra massima ricchezza risiede proprio nel non essere perfetti, costretti ad arrangiarci con quel che abbiamo a disposizione, a prendere un difetto e trasformarlo in virtù, a dar vita a un quotidiano bric à brac lungo millenni.

Se la biologia evoluzionista è in grado di dirci molto non solo sul passato, ma anche sul nostro futuro, la fisica non è certo da meno. Perché “predire” il futuro non è cosa da indovini, maghi e ciarlatani. Buona parte della scienza, se ci si pensa, non fa altro che tentare vie per predire il futuro. Certo, non usa una bolla di cristallo né i fondi del caffè, ma sperimenta in laboratorio, studia la ricorsività, costruisce serie statistiche.

Per capire il comportamento di sostanze e sistemi via via più complessi serve esattamente scoprire cosa e come si ripeterà. Se una cosa accade, quasi certamente accadrà di nuovo. Dopodiché, prevedere un’eclissi o la traiettoria di un proiettile è molto semplice e pressoché certo, prevedere il tempo che farà tra una settimana molto meno. Per non parlare di terremoti fisici o finanziari. In Perché è difficile prevedere il futuro (Edizioni Dedalo), Angelo Vulpiani e Luca Giammaitoni ci aiutano a capire perché certe cose sono facilmente prevedibili, perché altre non lo sono quasi per niente, e quante discipline, dalla teoria del caos alla meccanica statistica dei sistemi fuori dall’equilibrio, passando per l’indeterminazione della meccanica quantistica sono coinvolte in questa corsa al futuro.

Storie di Storia

In questa selezione di libri da leggere durante l’estate non potevano mancare alcuni consigli per gli appassionati di Storia, ma soprattutto di storie. Ad esempio, la Storia del tè. Perché nella la storia del tè è in qualche modo racchiusa la storia del mondo. Inizia in epoche antichissime, coinvolge oceani e continenti, culture e tradizioni diversissime tra loro e ci porta fino ai giorni nostri. 

Linda Reali, sociologa e sommelier esperta di tè, ha racchiuso tutto quello che c’è da sapere sulla nobile bevanda in Storie del tè. Monaci e mercanti, regine e avventurieri (Donzelli Editore), a partire dalla mitica origine che ne attribuisce la scoperta al leggendario imperatore Shen Nong, il «contadino divino», 5000 anni fa. Secondo il mito, infatti, le proprietà purificanti del té vennero scoperte dal sovrano accidentalmente, dopo aver ingerito del veleno. 

Reali ci porta così dalla Cina Imperiale, al Giappone. E ancora, in Tibet, Persia, Arabia e Russia, seguendo il percorso della millenaria bevanda, che passando dalle mani di avventurieri e mercanti, arrivò anche in Europa. Qui diventò la bevanda dell’aristocrazia inglese e dei salotti borghesi, fino a dare origine a sfide commerciali e guerre in grado di cambiare gli assetti mondiali.

Passiamo da una storia che coinvolge praticamente il mondo intero, alla storia d’Italia. Dagli Angioini all’arrivo dei Mille, cinquecento anni di storia condensati in centocinquanta pagine di formato tascabile. E basterebbe questa bella capacità di sintesi. Ma la forza e il piacere di Il regno di Napoli, di Giuseppe Galasso (Neri Pozza) sta anche nella formula a intervista. 

Il grande storico, intellettuale e politico napoletano racconta le vicende del sud prima angioino e poi borbonico dialogando con un giornalista colto, acuto e ironico come Francesco Durante. E a noi sembra di dialogare con loro, seduti in una comoda poltrona, un caffè fumante sul tavolino basso, il Golfo di Napoli, la luce del Golfo di Napoli fuori dalla finestra, la storia plurisecolare che si snocciola, tra una domanda, una risposta, una divagazione, un ritorno al tema. 

Durante e Galasso realizzarono quest’intervista per il Corriere del Mezzogiorno nel 2009, dieci puntate senza poltrone né tazzine di caffè (i tempi dei quotidiani non sono quelli), e negli anni successivi discussero spesso l’ipotesi di trasformarla in un libro. Galasso non c’è più, restano i suoi libri, tra i quali, da oggi, anche questa breve, preziosa chiacchierata tra storici.

La storia raccontata in La Raza di Stan Stainer (Jaca Book), invece, forse la conosciamo poco. E per di più da fonti americane. Tuttavia, la storia del Messico merita certamente di essere approfondita anche qui in Europa, perché sta alla base di meccanismi e assetti che persistono anche oggi. 

Il Messico, infatti, è diventato indipendente nel 1821 e subito l’ingombrante vicino a stelle e strisce si è impegnato a strappare territori al nuovo stato. Parliamo di California, Texas, Nevada, Nuovo Messico, Stati di un certo rilievo anche negli USA di oggi. Una conquista territoriale che ha comportato una vera e propria pulizia etnica, con lo sfruttamento delle popolazioni di lingua spagnola rimaste “al di qua” del confine, private delle loro terre e trasformate in riserve di braccianti per i grandi latifondi che si stavano costituendo.

“La Raza” è il nome che si sono date le popolazioni di origine messicana rimaste negli Stati Uniti. È un nome che vuole rimarcare il loro orgoglio, la caparbietà e la volontà di riscatto. E come diceva Tijerina, mitico capo della Raza: «Un popolo che ha fede andrà lontano». Quando gli si faceva notare che dall’annessione erano trascorsi quasi due secoli, aggiungeva: «Noi non abbiamo fretta».